Un itinerario mediceo:
la storia dei Medici attraverso i dipinti degli Uffizi
La Galleria degli Uffizi è una creazione dei Medici: si deve a Cosimo I la costruzione dell’edificio nel 1560, a suo figlio Francesco I la creazione del museo nel 1581, all’ultima discendente Anna Maria Luisa il vincolo perpetuo delle opere allo Stato fiorentino nel 1737. Ovviamente nel corso di così tanto tempo l’allestimento delle opere ha subìto molti cambiamenti, ma ancora oggi è possibile ripercorrere la storia di questa grande famiglia attraverso gli straordinari capolavori da lei collezionati.
Caratteristiche:
- L’itinerario completo richiede una visita di 2 ore.
- Il criterio è quello del racconto storico e non dell’analisi stilistica delle opere.
Le opere prese in esame:
al secondo piano:
- Ingresso, l’Empoli, Nozze di Caterina de’ Medici e Nozze di Maria de’ Medici
- sala 5-6: Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi
- sala 7: Paolo Uccello, Battaglia di San Romano
- sala 8: Alesso Baldovinetti, Pala di Cafaggiolo; Filippo Lippi, Adorazione del Bambino di Camaldoli, Pala del Noviziato, Madonna col Bambino e angeli; Filippino Lippi, Pala degli Otto; Piero della Francesca, Ritratti dei Duchi di Urbino
- sala 9: Piero del Pollaiolo, Ritrattodi Galeazzo Maria Sforza
- sala 10-14: Botticelli, La Primavera, La nascita di Venere, Pallade e il Centauro, Adorazione dei Magi, Ritratto di giovane uomo; Hugo van der Goes, Trittico Portinari
- corridoio di mezzogiorno: Frans Pourbous il Giovane, Ritratti della regina Maria de’ Medici e del re Enrico IV
- corridoio di levante: Jean Guignard, Ritratto della regina Caterina de’ Medici
- sala 35: Michelangelo, Tondo Doni; Francesco Granacci, Storie di Giuseppe Ebreo;Alonso Berruguete, Salomè e Madonna col Bambino
- sala della Niobe: Pietro Paolo Rubens, Enrico IV alla battaglia di Ivry e Entrata trionfante di Enrico IV a Parigi; Giusto Suttermans, Il giuramento del Senato fiorentino a Ferdinando II
- sala 45: Luca Signorelli, Madonna Medici; Annibale Carracci, Venere ** La sala, insieme alla 43 e 44, viene usata per esporre temporaneante opere dalle sale 2-7 che sono chiuse. Le opere di Signorelli e Carracci non sono al momento esposte, in attesa dei nuovi allestimenti. **
Al primo piano:
- sale 46-55: artisti stranieri del ‘600 e ‘700 “pittori dal pennello fine”
- sala 61: Pontormo, Ritratto postumo di Cosimo il Vecchio e Ritratto di Maria Salviati
- sala 64: Bronzino, Ritratti di Bartolomeo Panciatichi e della moglie Lucrezia, Ritratto del Nano Morgante
- sala 65: Bronzino, Ritratti diEleonora di Toledo col figlioletto Giovanni, di Cosimo I, di Maria, di Francesco, di Bia e di Giovanni
- sala 66: Raffaello, Ritratto del papa Giulio II, Ritratto del papa Leone X coi cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi
- sala 71: Correggio, Madonna adorante il Bambino
- sala 83: Tiziano, Venere di Urbino, Ritratti di Francesco Maria della Rovere e Eleonora Gonzaga
- sala 90: Caravaggio, Scudo con la testa di Medusa e Bacco
Iniziamo all’ingresso del secondo piano
L’itinerario inizia con i due grandi dipinti eseguiti nel 1600 dal pittore Jacopo Chimenti detto l’Empoli, oggi collocati all’ingresso, che rappresentano i matrimoni delle Regine di Francia di casa Medici.
A sinistra le Nozze di Caterina de’ Medici (1519-89) con il delfino di Francia Enrico di Valois, futuro re Enrico II. Il matrimonio fu combinato nel 1533 dal padre dello sposo, Francesco I, che della futura nuora apprezzava l’intelligenza, la cultura e la cospicua dote, e dal papa Clemente VII, Giulio de’ Medici, che ambiva a nobilitare la famiglia, di origine borghese, con sangue regale. Nel 1533 Caterina aveva solo 14 anni ed era l’ultima discendente diretta legittima del ramo principale, derivante da Cosimo il Vecchio. Nel corso della sua lunga vita dovette affrontare le complesse e drammatiche vicende delle guerre di religione che insanguinarono l’Europa durante tutto il XVI secolo e si trovò a difendere la monarchia francese dalle mire espansionistiche di Filippo II di Spagna, suo genero, e di Elisabetta I d’Inghilterra. Fu infatti reggente del trono dopo la morte prematura dell’amato marito (1559) e poi anche dei suoi tre figli maschi, Francesco II, Carlo IX e Enrico III, destinati uno dopo l’altro a succedere al padre ma incapaci di dare una discendenza alla dinastia dei Valois. Era coetanea del cugino Cosimo I e introdusse in Francia le raffinatezze italiane: l’uso della forchetta, l’abitudine di gustare a tavola i carciofi e il gelato, l’apprezzamento dei profumi e la Commedia dell’Arte. Per lei fu inventata la sella da amazzone, che permette alle signore di cavalcare tenendo tutte e due le gambe dalla stessa parte.
A destra troviamo le Nozze di Maria de’ Medici (1573-1642), figlia del granduca Francesco I e di Giovanna d’Austria, con il re di Francia Enrico IV di Navarra. Per quest’ultimo si trattava delle seconde nozze dopo il divorzio dalla regina Margot, figlia di Caterina de’ Medici, e l’abiura della fede ugonotta, infatti fu lui che pronunciò la famosa frase “Parigi val bene una messa” quando gli fu offerta la successione al regno di Francia alla condizione che si convertisse al cattolicesimo. Il matrimonio fu celebrato per procura nel Duomo di Firenze il 5 ottobre 1600 e poi la sposa si imbarcò per Marsiglia con una flotta di 17 galere per raggiungere il marito a Lione, dove l’unione venne consacrata nella cattedrale della città il 17 dicembre. La vita di Maria non fu felice poiché, dopo l’uccisione del marito, il potentissimo ministro cardinale di Richelieu riuscì a farla allontanare dal figlio Luigi XIII e la costrinse ad espatriare nei Paesi Bassi e poi in Germania, dove morì a Colonia.
SALA 5-6
Nella sala 5-6, dedicata al Gotico Internazionale, troviamo la meravigliosa Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, eseguita nel 1423 per il banchiere fiorentino Palla di Noferi Strozzi. Questi era coltissimo e conosceva perfino il greco antico. In gioventù era stato legato d’amicizia con Cosimo il Vecchio de’ Medici ma in seguito le vicende politiche avevano diviso i due personaggi: Palla Strozzi apparteneva all’oligarchia delle famiglie magnatizie fiorentine della fazione antimedicea che nel 1433 votarono l’esilio di Cosimo. Questi però seppe sfruttare l’appoggio del popolo e al suo rientro in Firenze nel 1434 fece esiliare gli avversari, e quindi anche lo Strozzi, che non poté mai più tornare in patria e che visse il resto della sua lunga vita a Venezia. L’opera che qui si ammira, proveniente dalla sacrestia della chiesa di Santa Trinita, fatta costruire dagli Strozzi al Ghiberti come cappella di famiglia, rivela il gusto squisito e raffinato del nobile banchiere, ritratto nell’elegantissimo cavaliere dal turbante blu e oro che regge il falcone con la mano sinistra.
SALA 7
Nella sala 7, dedicata al primo Rinascimento, si ammira, dopo il recente restauro, la celeberrima tavola della Battaglia di San Romano. I momenti più importanti di questa battaglia, vinta dai fiorentini nel 1432 contro l’esercito senese alleato dei Visconti di Milano, vennero narrati nel 1436-40 da Paolo Uccello come in un poema cavalleresco su tre grandi tavole, commissionate dal mercante fiorentino Lionardo Bartolini. Nel 1484 Lorenzo il Magnifico, approfittando delle discordie fra gli eredi del Bartolini, le acquistò e le fece adattare alla sala del Palazzo Medici in via Larga – oggi via Cavour – da cui passarono agli Uffizi nel 1784. Purtroppo nel 1820 due delle tavole vennero vendute e si trovano oggi alla National Gallery di Londra e al Museo del Louvre a Parigi.
SALA 8
Nella sala 8, dedicata ai Lippi, sono conservate diverse opere a soggetto sacro legate alla committenza medicea. I ricchi banchieri infatti destinavano moltissime risorse alla beneficienza e al patronato di chiese e conventi, attraverso i quali provvedevano alla salvezza delle proprie anime.
Sulla parete dell’ingresso si trova la Pala di Cafaggiolo di Alesso Baldovinetti, commissionata nel 1453 da Piero il Gottoso per la cappella della propria villa nel Mugello in occasione della nascita del figlio Giuliano. Vi figurano infatti tutti i santi di cui i Medici portavano il nome: Francesco, Cosma e Damiano, Giovanni Battista, Lorenzo, Pietro Martire e appunto Giuliano.
Alla parete a destra dell’ingresso si trova l’Adorazione del Bambino di Camaldoli di Filippo Lippi, commissionata nel 1463 dalla moglie di Piero il Gottoso, Lucrezia Tornabuoni, e destinata alla cella dedicata a San Giovanni Battista riservata ai Medici nell’Eremo dei monaci benedettini fondato da San Romualdo, che è rappresentato in basso a destra. I Medici avevano una cella a loro riservata per gli esercizi spirituali anche nel convento dei frati domenicani di San Marco, che era stato completamente ricostruito dall’architetto Michelozzo nel 1437-52 su commissione di Cosimo, il quale spese in quella fabbrica 36 mila ducati.
Sulla parete di fronte all’ingresso è esposta la così detta Pala del Noviziato, proveniente appunto dalla Cappella del Noviziato di Santa Croce che Cosimo il Vecchio aveva fatto costruire per i frati francescani da Michelozzo nel 1445. Ai lati della Madonna col Bambino stanno infatti i Santi Cosma e Damiano con San Francesco e Sant’Antonio di Padova.
Filippo Lippi fu uno degli artisti prediletti da Piero il Gottoso, personaggio saggio e raffinato della famiglia dei Medici, che con il pittore ha in comune l’anno della morte, il 1469. Per lui dipinse la piccola, dolcissima e preziosa Madonna col Bambino e angeli proveniente dalla villa del Poggio Imperiale ma probabilmente in origine in Palazzo Medici. Si tratta di un altare domestico, ossia non destinato ad una chiesa bensì ad una camera, dove attraverso una finestra aperta si vede sullo sfondo il mare. E’ stato ipotizzato che sia stata eseguita dal Lippi quando Piero il Gottoso intercesse per lui presso il papa Pio II nel 1461 per fargli ottenere il perdono e lo scioglimento dei voti, dopo che il pittore, frate carmelitano, aveva stretto un legame amoroso con Lucrezia Buti, dalla quale avrà il figlio Filippino. Il paesaggio con il mare è infatti forse un ricordo del soggiorno a Napoli, dove Filippo fuggì con la Lucrezia subito dopo lo scandalo, e il bellissimo profilo della Vergine Maria altro non è che il ritratto di lei.
Il rapporto di mecenatismo che aveva legato Piero de’ Medici a Filippo Lippi proseguì anche con i rispettivi figli, infatti la monumentale Pala degli Otto che campeggia sulla parete sinistra della sala venne dipinta da Filippino Lippi nel 1486 per la Sala dei Duecento in Palazzo della Signoria su indicazione di Lorenzo il Magnifico, che la valutò 1200 lire ossia 170 fiorini d’oro, da corrispondere all’artista. La data che vi si legge è 2 febbraio 1485 ma questo è lo stile fiorentino, dato che a Firenze l’anno iniziava il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione e dunque dell’incarnazione di Cristo.
Al centro della sala stanno i ritratti dei Duchi di Urbino di Piero della Francesca, databili al 1474, anno in cui ottennero il titolo ducale, pervenuti nelle collezioni medicee, insieme ad altri capolavori, nel 1631 con il matrimonio di Ferdinando II con la cugina Vittoria della Rovere, ultima discendente della dinastia dei signori di Urbino. Questi che vediamo qui rappresentati nei celeberrimi profili sono Federico da Montefeltro e Battista Sforza, poiché i Della Rovere ottennero il ducato di Urbino nel 1508. Il duca Federico fu uno degli istigatori della congiura dei Pazzi, organizzata per uccidere Lorenzo e Giuliano de’ Medici il 26 aprile 1478 durante la messa nel Duomo di Firenze, ma fino al 2004, quando sono stati scoperti i documenti, la sua partecipazione era rimasta segreta e neppure Lorenzo il Magnifico aveva mai sospettato il suo coinvolgimento.
SALA 9
Nella sala 9 si trova il ritratto, dipinto da Piero del Pollaiolo nel 1471, del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, commissionato dai Medici nell’occasione della sua visita a Firenze. Questi, morto assassinato nel 1476, fu il padre di Caterina Sforza, la madre di Giovanni dalle Bande Nere.
SALA 10-14
Segue poi la sala 10-14 del Botticelli, dove molte opere del grande pittore sono riconducibili alla famiglia Medici, particolarmente alla personalità di Lorenzo il Magnifico e al suo ideale dell’Umanesimo e del Rinascimento pagano.
La così detta Primavera del Botticelli, dipinta nel 1482, si trovava all’epoca di Giorgio Vasari nella villa medicea di Castello. Era stata probabilmente dipinta per le nozze di Lorenzo di Pierfrancesco, cugino del Magnifico, e da questi molto amato, con Semiramide Appiani, avvenute appunto nel 1482. E’ Giorgio Vasari che interpreta il soggetto come la rappresentazione della primavera, e che individua Venere come protagonista del dipinto. Il soggetto è tratto dal De Beneficiis del filosofo romano Seneca e rappresenta il giardino di Venere: a sinistra si riconosce Mercurio, che con il suo caduceo manda via le nuvole invernali; seguono le tre Grazie che danzano tenendosi per mano. Al centro è la dea, rappresentata incinta, che infatti, secondo la mitologia, è madre di Cupido. Alla destra di Venere è rappresentata Primavera, vestita di fiori e pure lei gravida, a simboleggiare la bella stagione che ogni anno ritorna portando agli uomini la felicità e i doni della fertilità. Questo concetto è ribadito con la presenza, accanto a lei, di Flora, la dea romana dei fiori e frutti, che cerca di fuggire le brame amorose di Zefiro, il vento fecondatore primaverile, che vola dietro a lei. Tutto il giardino in fiore, con gli allori e gli alberi d’agrumi sempre verdi e con i suoi mitici personaggi, è la rappresentazione allegorica del motto di Lorenzo il Magnifico “le temps revient”: il tempo ritorna, secondo i cicli della natura, e gli uomini debbono saper cogliere l’attimo e godere dei momenti belli della vita: carpe diem!. Ai piedi di Flora sboccia un iris, il fiore simbolo di Firenze che compare anche nell’arme della città: è l’iris fiorentina che allude alle origini romane di Florentia, fondata, secondo la tradizione, dai soldati veterani di Cesare nel 59 a.C. durante i ludi florales, cioè i riti pagani della primavera che ne dovevano propiziare appunto la fioritura.
La dea dell’amore e della bellezza è la protagonista del capolavoro del Botticelli intitolato Nascita di Venere, anche questa proveniente dalla villa medicea di Castello. Sono state scritte moltissime pagine per spiegare il significato di quest’opera, dal carattere simbolico e allegorico. Un’interpretazione convincente riporta che al centro, in piedi sulla conchiglia, sta Afrodite, la dea greca nata a Cipro dalla spuma del mare. In alto a sinistra sono rappresentate le figure di Zefiro, vento tiepido della primavera, con l’amata ninfa Clori, che volano abbracciati soffiando il vento e spargendo le rose rosa, fiori sacri alla dea, mentre a destra una leggiadra fanciulla avanza portando un manto per coprire il corpo nudo e perfetto della bionda divinità. Si tratta dunque della rappresentazione simbolica della divina bellezza greca che approda alle coste italiane: Venere-Afrodite è la personificazione del Rinascimento. L’opera del Botticelli fu probabilmente suggerita da Lorenzo il Magnifico, noto non solo come grande uomo politico e ricchissimo banchiere, ma anche come mecenate delle arti e letterato. Ebbe come precettori gli umanisti neoplatonici Cristoforo Landino e Marsilio Ficino e lui stesso fu autore di vari componimenti e della Canzone di Bacco e Arianna, dove si legge la celebre frase “quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia, del doman non c’è certezza”. Al Magnifico Lorenzo alludono precisamente gli alberi dipinti sullo sfondo dietro la fanciulla: si tratta di alloro, in latino laurus, da cui deriva il suo nome, e che nella mitologia è la pianta sacra ad Apollo e ai poeti, e che inoltre è sempre verde (non conosce mai l’inverno). Secondo la tradizione inoltre, la figura di Venere sarebbe il ritratto idealizzato di Simonetta Cattaneo, nativa di Portovenere, andata sposa al fiorentino Marco Vespucci ma amata da Giuliano de’ Medici, anche se alla data dell’esecuzione del dipinto sia la bella Simonetta che Giuliano erano morti da tempo. Marco Vespucci era cugino dell’esploratore Amerigo Vespucci.
La Pallade e il Centauro del Botticelli venne dipinta per commemorare una importante impresa diplomatica di Lorenzo il Magnifico che, subito dopo la congiura dei Pazzi, in cui era stato ucciso il suo fratello Giuliano e lui stesso era stato ferito, decise di presentarsi al re Ferdinando di Napoli per cercare di farlo passare dalla sua parte nell’alleanza contro il papa Sisto IV Della Rovere che aveva istigato i congiurati. Lorenzo si recò da solo presso il re, portandogli in dono un prezioso frammento di una scultura greca antica, e ottenne la sua benevolenza. Pallade Atena, dea della ragione, con un vestito ornato dai tre anelli dalla punta di diamante, impresa personale di Lorenzo, doma la bestialità del Centauro, simbolo dell’inumana invidia e bramosia che aveva animato i congiurati e i loro alleati contro i giovani fratelli di casa Medici.
Nella sala si trova, del Botticelli, anche un Ritratto di giovane uomo con la medaglia di Cosimo il Vecchio, di cui non si è ancora trovata l’identità. Potrebbe trattarsi di un personaggio della famiglia o della cerchia medicea, ma forse anche dell’autoritratto del Botticelli. La medaglia con l’effigie di Cosimo il Vecchio, detto Pater Patriae, venne coniata subito dopo la sua morte nel 1464.
La piccola Adorazione dei Magi, dipinta da Sandro Botticelli per il mercante Gaspare di Zanobi del Lama e proveniente da Santa Maria Novella, testimonia la reverenza delle famiglie filo-medicee fiorentine nei confronti dei Medici. Come scrive Giorgio Vasari, i Magi stessi sono qui rappresentati con le sembianze dei membri della famiglia: l’anziano re Gaspare genuflesso ai piedi del Bambino è Cosimo il Vecchio, il maturo Baldassarre, al centro, vestito col manto rosso ornato di ermellino è suo figlio Piero il Gottoso e il giovane re Melchiorre, vestito di bianco, è l’altro suo figlio Lorenzo, mentre i due giovani in piedi, l’uno all’estrema sinistra, l’altro a destra con i capelli e la veste neri, sono i nipoti Giuliano e Lorenzo. Il mercante Gaspare Del Lama è riconoscibile nel personaggio anziano che nel gruppo di destra guarda verso lo spettatore, e perfino lo stesso Botticelli si è ritratto nel giovane a destra, vestito di giallo, che guarda anch’esso verso di noi.
A confronto delle coeve opere del Botticelli è esposto qui anche il monumentale Trittico Portinari di Hugo van der Goes, 1476-78, giunto a Firenze nel 1483 da Bruges per essere collocato sull’altare della chiesa di sant’Egidio in Santa Maria Nuova. I Portinari discendevano infatti dal famoso Folco, padre della Beatrice amata da Dante, che nel 1285 aveva fondato l’ospedale di Santa Maria Nuova, di cui la sua famiglia fu patrona e benefattrice per secoli. Il Committente, Tommaso Portinari, qui ritratto nei pannelli laterali con la moglie e i figli, dirigeva l’agenzia del banco mediceo a Bruges nelle fiandre.
CORRIDOIO DI MEZZOGIORNO
Dal 1613, opera di Frans Pourbous il Giovane, è conservato agli Uffizi il ritratto della regina Maria de’ Medici con l’abito ornato dai gigli di Francia, collocato accanto a quello del marito Enrico IV di Borbone alla testata del corridoio di mezzogiorno. Figlio cadetto di Maria fu Gaston d’Orléans, nonno materno dell’Elettrice Palatina Anna Maria Luisa de’ Medici e dell’ultimo granduca Gian Gastone, che proprio da lui prende il nome. Le figlie di Maria, Elisabetta ed Enrichetta Maria, andarono spose rispettivamente al re di Spagna Filippo IV e al re d’Inghilterra Carlo I Stuart, fatto decapitare da Cromwell.
CORRIDOIO DI LEVANTE
Alla fine del corridoio di levante, sulla parete destra in alto si trova il ritratto della regina Caterina de’ Medici in abito vedovile nero, colore da lei indossato dopo la morte del marito, ucciso incidentalmente da un cavaliere inglese durante un torneo. I Francesi chiamano ancora oggi Caterina “reine noire”, non solo per il colore che indossava ma soprattutto in ricordo della strage degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo, fra il 23 e il 24 luglio del 1572, e anche per l’interesse per le scienze occulte praticate dal suo consigliere Nostradamus. Il quadro, opera del pittore francese Jean Guignard, si trova in Galleria dal 1590.
SALA 35
La sala 35 è dedicata al celebre capolavoro di Michelangelo noto come Tondo Doni. Il nome che porta testimonia che l’opera non venne commissionata da casa Medici bensì dal ricco e colto mercante fiorentino Agnolo Doni, che nella sua casa in corso Tintori possedeva una collezione di capolavori antichi e moderni, fra i quali la statua bronzea di Amore Atys di Donatello (ora al Museo Nazionale del Bargello) e i ritratti proprio e della moglie Maddalena Strozzi dipinti dal giovanissimo Raffaello nel 1504 (ora alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti). Furono i coniugi Doni a incaricare Michelangelo nel 1507 di dipingere questa Sacra Famiglia in occasione della nascita della loro prima figlia Margherita. L’opera è importantissima poiché è l’unico dipinto a tempera grassa su tavola che rimane oggi di Michelangelo, per di più incastonato nella sua preziosa cornice originale, intagliata nella bottega dei Del Tasso su disegno dell’artista. I Medici ottennero il Tondo obbligando gli eredi Doni a venderlo a loro.
Nella stessa sala sono esposte altre opere che, pur essendo state commissionate da altre famiglie fiorentine, entrarono ben presto a far parte delle collezioni medicee. Si vedano ad esempio le due tavole con le Storie di Giuseppe Ebreo dipinte da Francesco Granacci per la camera da letto di Pierfrancesco Borgherini in occasione del suo matrimonio con Margherita Acciaioli nel 1515 e che furono acquistate da Francesco I nel 1584. Dal Casino Mediceo presso San Marco proviene invece la Salomè dello spagnolo Alonso Berruguete, che fu in Italia tra il 1508 e il ’18 venendo influenzato dalle opere michelangiolesche; anche l’altra sua opera qui esposta, la gaia Madonna col Bambino, è documentata a Palazzo Pitti.
SALA DELLA NIOBE
Nella neoclassica sala della Niobe, che dal 1781 conserva la prestigiosa serie di marmi antichi provenienti dalla Villa Medici a Roma, sono collocate le due grandi tele incompiute di Pietro Paolo Rubens con i fasti del re di Francia Enrico IV. Fu la moglie del re, Maria de’ Medici, che commissionò al grande pittore olandese sia la serie di ben 21 tele (1621-25) per il palazzo del Luxembourg, ancora conservata a Parigi, sia queste due, del 1628-31, rappresentanti Enrico IV alla battaglia di Ivry e la sua entrata trionfante a Parigi, che Ferdinando II recuperò ad Anversa. Rubens fu artista prediletto delle due sorelle Medici figlie di Francesco I: oltre che per la regina Maria lavorò infatti anche alla corte di Mantova per la duchessa Eleonora de’ Medici, sposa del duca Vincenzo Gonzaga. Per entrambe le famiglie svolse anche il ruolo di agente, facendo loro acquistare insigni capolavori per le loro collezioni, come per esempio La morte della Vergine del Caravaggio, comperata per i Gonzaga nel 1607 e ora al Louvre. A Maria de’ Medici dimostrò fedeltà e affetto fino alla fine, aiutandola, dopo che era stata allontanata dalla Francia, durante l’esilio in Olanda.
Nella sala della Niobe è stato recentemente ricollocato anche il grande dipinto di Giusto Suttermans con Il giuramento del Senato fiorentino a Ferdinando II. Al centro si vedono i senatori, tutti appartenenti alla nobiltà fiorentina, che rendono omaggio all’imberbe granduca, che si trovò a succedere al padre Cosimo II ad appena 11 anni nel 1621. Accanto a lui stanno infatti, severe e vestite a lutto, la madre Maria Maddalena d’Austria e la nonna Cristina di Lorena (nipote di Caterina dei Medici), che di fatto saranno per molti anni reggenti al posto del giovane Ferdinando. Fanno da cornice alla scena le personificazioni dell’Arno e della Firenze medicea.
SALA 45 – le due opere non sono visitabile al momento, mentre la sala viene usata per mostrare altre opere
La sala 45 ospita un’altra Venere, dipinta nel 1587-88 dal bolognese Annibale Carracci e acquistata dai Medici a Roma nel 1620. La rappresentazione della dea appariva all’epoca troppo lasciva, perciò le due dame sopra ricordate, Cristina di Lorena e Maria Maddalena d’Austria, la fecero esporre in Tribuna coperta da una tela con soggetto moraleggiante.
La Madonna Medici di Luca Signorelli esposta qua fu dipinta del 1490. Anche qui abbiamo la testimonianza del Vasari che la dice donata insieme alla Educazione di Pan (distrutta a Berlino durante la seconda guerra mondiale) a Lorenzo il Magnifico dal pittore. Conservata nella villa medicea di Castello passò agli Uffizi nel 1779.Arrivati in fondo al corridoio suggeriamo una sosta al caffè, comprendente anche una foto ricordo sulla bellissima terrazza sovrastante la Loggia dei Lanzi.
Si prosegue al primo piano…
SALE 46-55 – LE SALE BLU
L’itinerario prosegue al primo piano nelle sale blu, dalla 46 alla 55, dedicate nel 2011 agli artisti stranieri del ‘600 e ‘700. La maggior parte dei quadri, spesso di piccolo formato, sono opera di pittori olandesi e fiamminghi, che erano molto apprezzati dai Medici. Molte di queste opere vennero acquistate da Cosimo III durante il suo viaggio nelle Province Unite (odierna Olanda) nel 1668-69 ed erano opera dei così detti “pittori dal pennello fine”, data la precisione quasi da miniatura dei particolari delle scene, su tavola. Altre opere vennero portate a Firenze da Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina dalla Corte di Dusseldorf, quando rientrò in Toscana dopo la morte del marito Giovanni Guglielmo von Pfalz-Neuburg Wittelsbach nel 1717. Mentre i pittori olandesi dipingevano nature morte, scene d’interni o soggetti di genere, dato che la loro religione del cristianesimo riformato non ammetteva la rappresentazione delle scene sacre, le opere dei fiamminghi della collezione di Anna Maria Luisa, molto devota, sono soggetti religiosi.
SALA 56 – SI ARRIVA ALLE SALE ROSSE
Lasciate le sale blu si riprende l’itinerario nelle sale rosse, dove la 56 è dedicata alla scultura ellenistica, con opere provenienti dalle collezioni di Villa Medici a Roma, e le seguenti alla pittura fiorentina del Cinquecento. In questa sezione sono esposti molti ritratti, spesso di alta qualità, che tramandano la memoria delle fattezze di molti membri della famiglia Medici.
SALA 61
Nella sala 61 si trova il Ritratto postumo di Cosimo il Vecchio, recante l’emblema del broncone, cioè del tronco tagliato di alloro da cui germoglia un nuovo ramo, alludente al nuovo Cosimo che dona nuovo vigore alla famiglia dopo l’estinzione dei discendenti del primo. Il dipinto è di Jacopo Carucci detto Il Pontormo, pittore molto attivo per la famiglia granducale. Nella stessa sala si trova il Ritratto di Maria Salviati, la madre di Cosimo I, sposa di Giovanni dalle Bande Nere.
SALA 64
Nella sala 64 emergono i Ritratti di Bartolomeo Panciatichi e della moglie Lucrezia del Bronzino (1541-45). Accusati di aver aderito alla riforma protestante e sottoposti a processo dal tribunale dell’Inquisizione nel 1552, poterono evitare il carcere per intercessione di Cosimo I. Al centro della sala si trova il Doppio ritratto del Nano Morgante, dipinto dal Bronzino frontalmente su un lato e di dietro sull’altro (ante 1553). La curiosa opera fu dipinta per la corte di Cosimo I, dove Morgante era un buffone.
SALA 65
La sala 65 offre una serie strepitosa di ritratti medicei del Bronzino. Il primo, al centro, è quello di Eleonora di Toledo, ritratta col figlioletto Giovanni durante un soggiorno estivo alla Villa Medicea di Poggio a Caiano, con sullo sfondo il paesaggio al lume della luna. La duchessa Eleonora sposò Cosimo I a 17 anni, essendo stata preferita alla sorella maggiore. Fu un matrimonio importante poiché essa era figlia del viceré di Napoli, don Pedro di Toledo, e la sua unione con Il Medici costituiva la legittimazione del potere nelle mani del giovane duca. Assicurò la discendenza dando a Cosimo ben otto figli. Il piccolo Giovanni che qui sta con lei, intelligente e colto, destinato alla carriera cardinalizia, morì per una epidemia di febbri nel 1662, a 19 anni, pochi giorni prima della madre, allora appena quarantenne.
Affiancano il ritratto della bionda Eleonora quelli del marito, il duca Cosimo I, in armatura, e quelli di alcuni figli: la primogenita e bellissima Maria, promessa sposa ad Alfonso d’Este ma morta a soli 17 anni, e Francesco, qui giovinetto di 10 anni, ritratti dal Bronzino durante la permanenza a Pisa nel 1551, e poi Bia, figlia naturale di Cosimo I, e Giovanni bambino, con in mano un uccellino, appartenenti ad una serie dipinta dal Bronzino nel 1545.
SALA 66
La sala 66 è dedicata alle opere di Raffaello, che a Firenze trascorse un periodo di studio dal 1504 al 1508, anni in cui era stato instaurato il governo repubblicano e i Medici erano stati cacciati.
Dall’eredità di Urbino proviene il Ritratto del papa Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere, che nei dieci anni del suo pontificato riuscì a riunificare i possedimenti dello Stato della Chiesa sconfiggendo Cesare Borgia e cacciando i francesi dalla penisola italiana. Proprio nell’ambito della guerra della Lega Santa capeggiata da Giulio II contro la Francia, il cardinale Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, riuscì, nel 1512, a riottenere il governo di Firenze per la propria famiglia e, l’anno seguente, alla morte di papa Giulio, venne eletto pontefice. E’ qui infatti esposto il Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi che Raffaello dipinse nel 1518 a Roma per essere inviato a Firenze. L’opera fu collocata nel Palazzo Medici di Via Larga in occasione delle nozze del nipote del papa, Lorenzo duca di Urbino, con Maddalena del la Tour d’Auvergne, dai quali nacque nel 1519 Caterina, rimasta orfana appena venuta al mondo. Fa un certo effetto considerare che questo magnifico dipinto, descritto minuziosamente da Giorgio Vasari che ne ammirava la mirabile resa dei particolari che sembrano veri, fu eseguito da Raffaello trentacinquenne solo due anni prima della morte. Il papa Medici è raffigurato con un prezioso libro miniato: fu lui che, alla cacciata dei Medici da Firenze nel 1494, riuscì a mettere in salvo la biblioteca del nonno Cosimo e del padre Lorenzo, e che in seguito commissionò a Michelangelo la costruzione della Biblioteca Laurenziana presso il convento di San Lorenzo. Michelangelo, che da ragazzo aveva vissuto in palazzo Medici sotto la protezione di Lorenzo il Magnifico insieme ai suoi figli, era coetaneo di Leone X, che negli anni del suo pontificato fece di Roma la nuova culla del Rinascimento dopo Firenze. Il particolare della palla che orna la spalliera della sedia, in cui si riflettono la finestra, le spalle del papa e l’intera stanza, non è solo un motivo ornamentale ma anche un elemento araldico che allude all’arme medicea, così come le ghiande della sedia del papa Giulio II alludono alla rovere (la quercia) da cui deriva il suo cognome. Leone X è il papa che provocò la protesta di Martin Lutero nel 1517 e il suo cugino Giulio, qui ritratto ancora come cardinale, sarà il papa Clemente VII che provocherà lo scisma della chiesa anglicana quando si rifiuterà di concedere al re d’Inghilterra Enrico VIII il divorzio da Caterina d’Aragona.
SALA 71
Nella sala 71 è esposta la celebre Madonna adorante il Bambino del Correggio del 1518-20. L’opera venne dotata di una bella cornice barocca e collocata nella Tribuna degli Uffizi nel 1617, quando pervenne a Firenze come dono del duca di Mantova Ferdinando Gonzaga al granduca Cosimo II. I due personaggi erano cugini di secondo grado poiché il Gonzaga era figlio di Eleonora di Francesco I de’ Medici e dunque sorella della regina Maria di Francia.
SALA 83
La sala 83 ospita le opere di Tiziano, pervenute ai Medici con l’eredità di Urbino, tramite il matrimonio di Ferdinando II con Vittoria della Rovere, ultima discendente della famiglia. L’unione tra i due, che erano cugini di primo grado essendo il padre di lui, Cosimo II, fratello della madre di lei, Claudia de’ Medici, venne combinata dalle famiglie quando Ferdinando aveva tredici anni e Vittoria appena un anno. L’opera più celebre è infatti la così detta Venere di Urbino, dipinta da Tiziano per Guidubaldo II Della Rovere nel 1538.
I due ritratti che si vedono ai lati, pure di Tiziano e risalenti al 1536-37, sono le effigi dei genitori di Guidubaldo, Francesco Maria della Rovere e sua moglie Eleonora Gonzaga.
SALA 90
Fra le opere del Caravaggio esposte nella sala 90 due furono donate a Ferdinando I de’ Medici dal cardinal Francesco Maria del Monte, ambasciatore del granduca di Toscana a Roma, che abitava in Palazzo Madama, proprietà medicea: lo Scudo con la testa di Medusa e il Bacco. Delle due opere non risultano copie o riproduzioni in incisione fino al 1819, segno che erano gelosamente conservate negli appartamenti privati granducali. Lo scudo di Medusa si trovava nell’Armeria granducale, abbinato all’armatura donata a Ferdinando I nel 1601 dal sovrano di Persia Abbas il Grande. Ferdinando I aveva dovuto abbandonare la carriera ecclesiastica nel 1587 alla morte del fratello Francesco I, che aveva lasciato solo figlie femmine, alle quali non era concessa la successione, e si era sposato con Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici, che dalla nonna aveva ereditato le famosissime e preziose collane di perle.
Se siete arrivati in fondo a questo itinerario: BRAVI! E buona visita agli Uffizi!